“L’evoluzione ci porterà
a una nuova concezione dell’amore,
che ci mostrerà che siamo complementari
con tutti gli altri esseri,
fusi nello stesso organismo universale”.
(Pietro Ubaldi)
Riassunto: Di fronte ai problemi planetari è oggi necessario ispirarsi a un modello cooperativo, possibile se si formano persone capaci di collaborare a tutti i livelli. Di fronte all’indifferenza e all’individualismo vanno sapute sviluppare competenze sociali, atte a sapersi relazionare nel reciproco rispetto e a comunicare con autenticità e comprensione. Da ciò la capacità di produrre organizzazioni solidali, partecipi e corresponsabili. Da qui l’impostare luoghi di lavoro ispirati ai principi del “cooperative learning” e la costituzione di un “sistema a rete”, dove i rapporti e le relazioni siano sia verticali sia orizzontali. Per tutto ciò, nei rapporti interpersonali vanno saputi considerare e sviluppare sia gli aspetti cognitivi sia quelli emotivi, in maniera complementare e sinergica. Da qui una sana competizione, all’interno di una indispensabile cooperazione.
Abstract: Faced with planetary problems today it is necessary to draw inspiration from a cooperative model, which is possible if people capable of collaborating at all levels are formed. In the face of indifference and individualism, we need to know how to develop social skills, able to know how to relate with mutual respect and to communicate with authenticity and understanding. Hence the ability to produce supportive, participatory and co-responsible organizations. Hence the setting up of workplaces inspired by the principles of “cooperative learning” and the establishment of a network system, where relationships and relations are both vertical and horizontal. For all this, in interpersonal relationships it is necessary to be able to consider and develop both the cognitive and emotional aspects, in a complementary and synergistic way. Hence a healthy competition, within an indispensable cooperation.
Stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti epocali. Serve una nuova visione della vita, entro la quale il mondo del lavoro possa ridefinirsi eticamente nei rapporti e nelle relazioni. Ogni crisi è un’opportunità di cambiamento e rinnovamento: cambiamento di un modello socio-economico, rinnovamento di modi di essere e del relazionarsi agli altri e alla collettività.
La crisi attuale non è solo economica e sanitaria, ma è anche soprattutto morale. Si richiede per questo una ripresa etica. Come in ogni epoca di transizione, la decadenza dei costumi si attribuisce alla crisi dei valori, da cui anche il conseguente degrado ambientale. Così, si può parlare di crescente individualismo o di mancanza d’ideali, di valori contradittori o egocentrici, di brama di avere o di assenza di autorità[1].
Quella che si deve istituire, come prospettiva planetaria, è una civiltà della cooperazione, per la quale serve un nuovo adeguato modello: questa civiltà rappresenta un fine, che richiede un imprescindibile modello come mezzo[2]. E’ necessaria, per questo, una formazione etico-sociale, costituita e costruita attraverso le relazioni umane e un’intelligente e competente gestione di tutte le istituzioni educative, socio-politiche e produttive.
1. La formazione etico-sociale
La condizione umana occidentale, oggi, sembra essere quella dell’individualismo. Basti, per rendersene conto, analizzare la pubblicità televisiva, girare per un supermercato, rilevare le persone che si aggirano per i parchi o semplicemente osservare i passeggeri nelle metropolitane o i solitari guidatori delle automobili. L’invenzione dell’individuo – descritta da Jeremy Rifkin[3] –, segno del passaggio dalla coscienza mitologica a quella teologica, sembra oggi confluire nella centralità esclusiva dell’io, quale forma di alienazione nella propria immagine fisica e nelle proprie sensazioni e sentimenti, attratti dai bisogni indotti delle seduzioni del consumismo.
A rinforzare tale atteggiamento individualista, va considerata la cultura narcisistica, che si sta imponendo attraverso i mass media. Basti esaminare un fenomeno oggi appariscente, come quello di “tik tok”, che va visto da un lato come una comprensibile manifestazione di un’esigenza e piacere espressivo – facilmente rappresentabile con un mix di ballo e canto – ma da un altro lato come segno di un esibizionismo spettacolare, alla ricerca di notorietà, se non proprio di fama. L’accentuazione narcisistica e l’eventuale aspettativa di un riscontro economico, ne sono, poi, due deleteri risvolti degenerativi.
Christopher Lasch parla di un “vuoto totale” di valori, determinante il dilagare dei fenomeni alienanti della distrazione, disaffezione e disinteresse”[4]. Da qui, la perdita di una progettualità esistenziale ad ampio raggio, il cui effetto è che “in stato di assedio, l’io si contrae, si riduce a un nucleo difensivo, armato contro le avversità”[5].
E’ necessaria, per tutto ciò, una nuova formazione etico-sociale, volta al perseguimento di fini aventi una valenza etica, diversi secondo i contesti culturali e le configurazioni politiche, ma sempre volti verso l’attivazione di processi partecipativi e collaborativi[6]. Da qui l’esigenza dell’istituzione di uno spirito cooperativo, basato sull’equità morale e sull’onestà intellettuale. A tale scopo, la scuola e tutti i centri di animazione devono poter costituire genuine esperienze di cittadinanza attiva e di cooperazione civica.
Avere dei fini sociali è ciò che sostiene una motivazione collettiva, attraverso la funzione di tutte le istituzioni educative. Di fatto, i fini sono finalità intenzionali, che orientano le azioni e i comportamenti[7]. In tale tensione si costituisce il senso morale, dato che, “ciò che s’impara e si mette in pratica in un’occupazione avente uno scopo, e implicante la cooperazione con altri, è conoscenza morale”.
E’ questo il senso della tensione etica, come energia propulsiva. Ne deriva la necessità dell’impegno sociale, per il progresso etico-sociale di una comunità, di un popolo e dell’umanità tutta. Così anche – all’interno di un’istituzione pubblica o di un’azienda – l’impresa comune condivisa nel perseguire uno scopo comune può attestare l’eticità di un organismo collegiale nella sua azione etica[8].
E’ in tale orizzonte formativo che lo spirito di cooperazione può controllare la conflittualità e regolare la competizione. Da qui l’importanza che assume lo spirito d’amicizia e di gruppo, per la formazione delle virtù della disponibilità sociale, dell’ascolto empatico, dell’apertura di mente e cuore, e dell’aiuto solidale[9].
La tensione etica si coltiva attraverso l’esercizio di questi atteggiamenti. Senza tensione etica gli ideali restano astrazioni. Devono, invece, poter essere colti e vissuti come anticipazione del proprio voler essere e poter divenire. Tutto dipende dal senso e dal modo con cui si fanno le cose e ci si relaziona al mondo e agli altri. Lo sforzo, la sofferenza e la soddisfazione ne costituiscono il percorso di conquista, di merito e di conseguente gioia.
La gioia deriva sempre dalla soddisfazione di aver svolto un’azione etica e per questo la sua porta – come rileva Kierkegaard – si apre sempre verso l’esterno. Diventa fondamentale, in tale ottica, considerare il valore e la funzione del sacrificio, che costituisce l’importanza dell’impegnarsi per qualcosa o per qualcuno. Per questo, la timocrazia deve diventare l’imprescindibile correttivo della democrazia, perché privilegia le persone che hanno sviluppato e dimostrato, personalmente e socialmente, una adeguata forza d’animo e una sincera disponibilità verso gli altri e verso il bene comune[10].
2. Il paradigma del cooperare
Solo l’espansione della nostra coscienza individuale può permetterci di rispondere alle esigenze dei valori della post-modernità, come un daimon interiore, che spinge a coltivare il “sé profondo” e a tendere verso il “sé ampio”. Solo dalla trasformazione etica delle parti – sempre intese come soggetti d’intenzione e di azione – potrà scaturirne l’evoluzione del tutto. Il ponte necessario è costituito dalle piccole comunità familiari, scolastiche, associative, lavorative, sportive, ricreative e socio-culturali, attraverso le quali poter sviluppare virtù etiche e intellettuali, costituendo ambienti ad alto indice di consapevolezza e corresponsabilità.
Siamo di fronte al costituirsi di “nuovi paradigmi”, rispetto a un essere umano che possiamo definire “planetario”, in interdipendenza con tutto e con tutti. Quello che non si deve perdere è il paradigma della serena fiducia nella ragione e nell’evoluzione, dove l’ordine superiore sia sovrano e ogni cosa possa essere colta intuitivamente e compresa razionalmente.
La legge della vita è rappresentata dall’evoluzione. Di evoluzione etica si tratta. Ciò può avvenire, cercando di praticare la comprensione reciproca e ricercando la fratellanza universale. Le due encicliche “Laudato sì” e “Fratelli tutti” di Papa Francesco ne possono costituire due fondamentali momenti di riflessione.
Si tratta di un “cammino ascensionale”, frutto di elevazione dei sentimenti e dei pensieri. E in tale prospettiva che gli ideali costituiscono delle anticipazioni dell’avvenire, dimensioni non utopistiche ma utopiche, ossia non ancora presenti ma colte e percepite come direzioni di valore da perseguire.
Serve a questo un nuovo paradigma etico, basato sull’accomunamento e configurato sulla cooperazione. I due processi sono complementari:
- a) attraverso l’accomunamento ci si può ritrovare in similari istanze eticosociali, rilevando ciò che appunto accomuna nei bisogni fondamentali;
- b) attraverso la cooperazione si deve riuscire a sintonizzarsi in accomunamenti sempre più ampi, validi per tutta l’umanità[11].
3. Il modello cooperativo
Il punto centrale per un rinnovamento sociale è quello di delineare un nuovo modello, capace di istituire diverse modalità relazionali, improntate alla cooperazione e alla collaborazione. E’ questa la sfida della “terza rivoluzione industriale”, che per Rifkin sta delineando il nuovo “capitalismo distribuito”, basato sulla natura collaborativa dell’essere umano, finalizzato al “bene comune” e manifestato nella tensione verso una dignitosa qualità della vita per tutta l’umanità. Tutto ciò all’interno di una sostenibilità planetaria.
Il modello sociale – necessario per la nostra realtà culturale in profonda trasformazione – è quello che può agevolare la costruzione di un “noi accomunante”. Il noi accomunante è progressivo ed evolutivo: deriva dall’evoluzione della nostra coscienza collettiva. Questa si forgia, tuttavia, sempre in forza della ricchezza e ampiezza delle relazioni interpersonali. In tale processo espansivo si costituisce prima il “noi d’interesse” – attraverso il giocare, lo studiare, il coltivare comuni interessi, il fare attività sportiva, il ballare, il suonare, l’ascoltare musica o quant’altro –; quindi, il “noi di condivisione” – con tutto ciò che ci fa cogliere e vivere valori accomunanti –; sino ad arrivare al “noi di partecipazione” – quale forma di sintonizzazione e d’immedesimazione con persone e situazioni della vita sociale e politica più ampia.
Per perseguire questo coinvolgimento, ci si deve preoccupare della formazione delle “competenze sociali”[12]. A questo può servire impostare un luogo di lavoro ispirato ai principi del “cooperative learning”, ossia come luogo di apprendimento e coltivazione delle “competenze interpersonali”, che richiedono:
- a) lo sviluppo della capacità di accettarsi con i propri limiti;
- b) il sostenersi a vicenda;
- c) il comunicare con chiarezza e precisione;
- d) il poter risolvere i conflitti che sorgono;
- e) il riuscire a lavorare in gruppo, in maniera rispettosa, coinvolgente e corresponsabile[13].
Per tutto ciò, nei rapporti interpersonali vanno saputi considerare sia gli aspetti cognitivi sia quelli emotivi, in maniera complementare e sinergica. E’ grazie a questo che si deve poter costituire una “interdipendenza positiva”, attraverso la quale “tra individui e comunità si riesca ad attivare una correlazione armoniosa fra il conseguimento dell’obiettivo di un individuo e quelli degli altri”[14]. In forza di tutto ciò può essere superata l’impostazione individualistica, dove ognuno è concentrato a raggiungere il suo obiettivo personale, in base ai propri esclusivi interessi e alle proprie aspirazioni, senza fare gruppo e dare il proprio apporto a esso. E’, invece, attraverso la cooperazione che si possono manifestare le proprie attitudini sociali, sviluppando i basilari atteggiamenti della cooperazione:
- a) la capacità relazionale;
- b) la capacità comunicativa;
- c) la capacità organizzativa.
Dalla considerazione e constatazione del valore e della funzione del gruppo, discende l’utilità e la necessità di dover apprendere i vari modi della vita sociale in situazioni culturali e lavorative di cooperazione.
In definitiva, il cooperative learning costituisce quella forma sociale di apprendimento di regole e di modalità operative, attraverso la condivisione di un progetto e la conseguente collaborazione alla sua realizzazione.
Da qui la costituzione di un sistema a rete, dove
- a) i rapporti e le relazioni sono sia verticali sia orizzontali;
- b) si può passare da un sottogruppo a un altro con una certa libertà;
- c) ogni membro può apportare, nelle sedi e momenti opportuni, il proprio contributo;
- d) c’è un centro della rete, dove convergono le idee di tutti e si prendono le decisioni da parte dei leader, tale che la partecipazione sia diffusa e la decisionalità sia condivisa.
A tal fine sono necessarie tre condizioni:
- a) una visione d’insieme, che comprende le finalità da perseguire e i traguardi organizzativi da raggiungere;
- b) la comprensione per ogni collaboratore del valore e della funzione del proprio contributo;
- c) il coinvolgimento nei processi decisionali, con il conseguente impegno e responsabilità.
Diversamente, nel “sistema piramidale”:
- a) i rapporti sono solo gerarchicamente verticali;
- b) la comunicazione tra i vari livelli è scarsa[15];
- c) si tende alla deresponsabilizzazione personale.
In tale prospettiva, si deve poter sviluppare anche l’intelligenza emotiva, quale “capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi e di gestire positivamente le emozioni, tanto interiormente, quanto nelle nostre relazioni”[16]. Tale intelligenza è volta non solo al controllo delle emozioni e alla consapevolezza del proprio stato emotivo ma al superamento della mente infantile, che si presenta, al suo inizio – necessariamente – categorica ed egocentrica. Si tratta di acquisire abitudini emozionali positive, dove al centro c’è la capacità di controllare gli impulsi e l’esercizio spontaneo dell’empatia[17].
Per tutto ciò, nei rapporti interpersonali vanno saputi considerare sia gli aspetti cognitivi sia quelli emotivi, in maniera complementare e sinergica. E’ grazie a questo che si deve poter costituire una “interdipendenza positiva”, attraverso la quale “tra individui e comunità si riesca ad attivare una correlazione armoniosa fra il conseguimento dell’obiettivo di un individuo e quelli degli altri”.
Tale processo evolutivo porta all’esigenza di un nuovo modello sociale: il modello cooperativo[18]. Questo richiede l’attivazione di una serie di atteggiamenti di base, volti alla costituzione di un “noi accomunante”. Si tratta di quella dimensione che Paul Ricoeur delinea come “potere in comune”, ossia come «capacità dei membri di una comunità storica d’esercitare in modo invisibile il loro vivere insieme»[19].
Il “noi di partecipazione” si costituisce e si costruisce di volta in volta, attraverso tre procedure mentali, che sono rappresentate da:
- a) il riconoscimento dell’altro;
- b) la disponibilità verso gli altri;
- c) il decentramento personale e culturale.
E’ attraverso queste tre procedure – quali modalità empatiche del relazionarsi – che si possono scoprire i due principi fondamentali della relazione sociale: il compromettersi e il commisurare.
- a) il compromettersi, come scelta d’entrare in relazione con gli altri, implicandosi e impegnandosi. Tale atteggiamento è mosso dalla sensibilità e dalla disponibilità e ha una valenza etico-esistenziale;
- b) il commisurare, quale atto responsabile di confrontare situazioni e differenziare atteggiamenti e interventi, cogliendo la diversità di ambienti ed esigenze. Tale atteggiamento è mosso dalla riflessione e dal ragionamento e ha una valenza eticorazionale.
4. La sana competizione
Gli spazi di condivisione devono poter agevolare una forma mentis cooperativa: luoghi veri, in cui la vita pulsa e le relazioni vibrano, dove potersi guardare negli occhi, offrire le proprie esperienze e portare le proprie idee, sentirsi arricchiti dalla presenza degli altri, vivere momenti d’accomunamento. Tutti i luoghi aggregativi, dalle scuole ai centri ricreativi, dai parchi alle associazioni culturali devono essere pensati e progettati per agevolare l’incontro e la condivisione. Va coltivato anche via internet, magari da proseguire dopo essersi incontrati e confrontati vis a vis, dove ci si possa relazionare e riferire a un volto, come Lévinas ci ha ben chiarito.
Il modello cooperativo si serve di un metodo unitario, fatto di collaborazione. Attraverso tale metodo le energie si sommano, producendo un effetto di galvanizzazione e di rafforzamento. Diversamente, il modello competitivo si serve di un metodo separatista, fatto di rivalità e contrapposizioni, dove le energie si scontrano e si consumano, nella lotta per la supremazia e per il dominio.
Il modello cooperativo, in fondo, si presenta come un correttivo del modello competitivo, dove, spesso, per contrapporsi all’altro e prevalere si fa del male a se tessi. In ciò la negatività degli eccessi e dei “superomismi” d’ogni tipo, da quelli individualisti a quelli di razza, per recuperare la via della medietà e dell’equità aristotelica. Si tratta, infatti, del punto di equilibrio nella diversità di situazioni in cambiamento e contesti differenti, di volta in volta da ridefinire. L’equità rappresenta un equilibrio ideale, sempre da ridisegnare nel procedere della storia e da riconfigurare a seconda delle diverse situazioni.
L’istituzione di un modello cooperativo, pertanto, non deve negare – all’interno di istituzioni, enti o aziende – una sana e proficua competizione. Una “sana competizione” è fondamentale per il miglioramento sociale e la valorizzazione personale, come lo sono le diverse squadre sportive, per organizzare e gestire un campionato o un torneo. Va saputa regolare la competizione all’interno di una logica superiore, quella della cooperazione. Basti pensare al giovamento per tutti dell’offerta di accoglienza turistica di una regione e non di una regione contro l’altra, esasperando il turismo mordi e fuggi, a favore di una permanenza di godimento paesaggistico, artistico, culturale e relazionale. Si rifletta, anche, su come la competizione e cooperazione fra centri di ricerca e università possa giovare al miglioramento dell’offerta formativa e della produzione scientifica.
Quello che si deve considerare è la positività di un modello cooperativo, che includa il sano competere e la volontà di evoluzione. Con Rifkin si può affermare che “siamo, allo stesso tempo, animali cooperativi e competitivi. E’ questa prima natura a essere iscritta nella nostra biologia e a dettare le regole fondamentali”[20].
In definitiva – seguendo un evolutivo “istinto di unificazione” – con Pietro Ubaldi si deve poter considerare che “si tratta di un nuovo sistema di vita, in cui l’attività di ognuno non è un lavoro di tipo individualista a fini egoistici ma è un lavoro che s’ingrana in quello di tutto l’organismo sociale, come un suo elemento costitutivo”, nella rilevazione che, gradualmente, “al principio individualista egocentrico si sostituisce quello collettivista collaborazionista”[21].
[1] Cfr. Mollo G. (1986), A scuola di valori, Porziuncola, pp. 15-20.
[2] Mollo G. (2012), La civiltà della cooperazione, Morlacchi, pp. 105-115.
[3] Rifkin J. (2011), La civiltà dell’empatia, Mondadori, pp. 197-200.
[4] Lasch C. (1981), La cultura del narcisismo, Sonzogno, pp. 111-114.
[5] Lasch C. (1985), L’io minimo, Feltrinelli, p. 7.
[6] Dewey J. (1979), Democrazia e educazione, La Nuova Italia, p. 455.
[7] Cfr. Cassirer E. (1968), Saggio sull’uomo, Armando, pp. 123-124.
[8] Cfr. Mandolini R. (2021), Project management, Youcanprint, pp. 72-76.
[9] Cfr. G. Mollo G. (2009), Aspetti pedagogici nel pensiero di Paul Ricoeur, in “Pedagogia e Vita”, n. 5-6, settembre-dicembre, n. 5-6, 83-98.
[10] Cfr. Fukuyama F. (2011), La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, pp. 318, 350.
[11] Cfr. Reboul O. (1995), I valori dell’educazione, Ancora, pp. 130-136.
[12] Cfr. Mollo G. (2012), La civiltà della cooperazione, ed. cit., pp. 95-104.
[13] Cfr. Cacciamani S. – Giannandrea L. (2004) La classe come comunità di apprendimento, Carocci.
[14] Deutsch M. (1962), Cooperation and Trust: some theoretical notes, University of Nebraska Press, p. 276.
[15] Cfr. Goleman D. (1996), Intelligenza emotiva, RCS Libri, pp. 266-68.
[16] Goleman D. (1998), Lavorare con l’intelligenza emotiva, Rizzoli, p. 375.
[17] Deutsch M. (1962), Cooperation and Trust: some theoretical notes, University of Nebraska Press, p. 276.
[18] Cfr. G. Mollo (2016), Il leader etico, Morlacchi, pp. 85-88.
[19] Ricoeur P. (2001), Sé come un altro, Jaka Book, p. 321.
[20] Cfr. Rifkin J. (2011), La civiltà dell’empatia, ed. cit., p. 120.
[21] Mollo G. (2021), La visione di Pietro Ubaldi, OM, p. 51.