Tra il 2015 e il 2022, LeanIn.Org e McKinsey & Company hanno promosso uno studio sulla diversità di genere che ha coinvolto oltre 810 aziende statunitensi e più di 400.000 persone, intervistate sulle loro esperienze lavorative. Solo nel 2022 sono state raccolte informazioni, ascoltando più di 40.000 dipendenti, in 333 organizzazioni le quali danno lavoro a più di 12 milioni di persone. Nel panel, erano presenti donne di diverse identità comprese donne di colore, donne LGBTQ+ e donne con disabilità.
I risultati di questo studio sono riassunti nel report Women in the Workplace 2022, dove emerge con una certa evidenza, che nonostante i modesti incrementi in termini di rappresentanza, negli ultimi otto anni le donne e in particolare le donne di colore, sono ancora drammaticamente sottorappresentate nelle aziende.
L’analisi, in poche parole, conferma che la parità di genere è ancora lontana dall’essere realizzata.
Questo è particolarmente vero se guardiamo ai ruoli di leadership senior: solo 1 leader C-suite, su 4, è una donna e solo 1, su 20, è una donna di colore. Inoltre, la maggior parte delle aziende è alle prese con due problemi che rendono quasi impossibile raggiungere l’uguaglianza di genere al loro interno:
a) Per l’ottavo anno consecutivo a ogni 100 uomini promossi manager, gli corrispondono solo 87 donne e il dato si riduce a 82, se prendiamo in considerazione le donne di colore. Di conseguenza, gli uomini superano notevolmente le donne a livello di manager e le donne non riescono mai a recuperare il ritardo.
b) Le donne che nelle aziende statunitensi ricoprono posizioni di leadership, dal dopo pandemia, stanno cambiando lavoro al tasso più alto mai registrato e a un tasso più elevato rispetto agli uomini.
Riguardo quest’ultimo punto, le donne leader chiedono di più alle loro aziende e sono sempre più disposte a cambiare lavoro per ottenerlo. Tre i fattori principali che incidono su questa scelta:
1) Le donne che vogliono fare carriera, devono affrontare maggiori resistenze rispetto agli uomini. Ci sono ancora stereotipi di genere che con i loro pregiudizi negativi, incidono sul giudizio riguardo la loro qualificazione nel ricoprire determinati ruoli. Inoltre, spesso, le leader donne riferiscono che le caratteristiche personali, come il sesso o l’essere genitore, hanno avuto un ruolo nel vedersi negare o nell’essere ignorate quando si è trattato di aumenti nella propria retribuzione; parimenti nel ricevere una promozione o riguardo la possibilità di avanzamenti di livello. Inoltre, sulla scia di stereotipi legati all’età, le leader donne hanno il doppio delle probabilità, rispetto ai leader uomini, di essere sostituite con qualcuno di più giovane.
2) Le donne sono oberate di lavoro e poco riconosciute. Rispetto agli uomini, al loro pari livello, le donne leader, come oramai certificato da innumerevoli studi, fanno di più per sostenere il benessere dei dipendenti e promuovere la diversità, l’equità e l’inclusione. Un lavoro che migliora notevolmente la fidelizzazione e la soddisfazione dei dipendenti ma queste qualità, per quanto apportino valore per le organizzazioni, non sono formalmente ricompensate nella maggior parte delle aziende.
3) Le donne vogliono una migliore cultura del lavoro. Le leader donne sono significativamente più propense dei leader uomini a lasciare il lavoro, perché vogliono maggiore flessibilità o lavorare per un’azienda che si impegni maggiormente per il benessere dei dipendenti, la diversità, l’equità, l’inclusione. Negli ultimi due anni, questi fattori sono diventati particolarmente significativi per le scelte delle donne leader.
Per chi fosse curioso, di conoscere i dettagli di quest’analisi, il report completo è disponibile al link:
https://wiw-report.s3.amazonaws.com/Women_in_the_Workplace_2022.pdf
A questa ricerca fa eco il Global Gender Wealth Equity Report realizzato dalla società WTW, il quale, sempre per l’anno 2022, esplora le differenze di equità nella distribuzione della ricchezza in base al genere in cinque regioni del mondo, analizzando le ragioni della disparità di genere attraverso diversi parametri. Consci che questa può dipendere da fattori multipli che non si basano solo sulle posizioni di leadership ricoperte dalle donne, il WTW Wealth Equity Index – sviluppato in collaborazione con il World Economic Forum – delinea l’unicità delle regioni del mondo analizzate (Asia Pacifico, Europa, America Latina, Nord America, Africa-Medio Oriente) e la variazione significativa dell’equità, nella distribuzione della ricchezza in funzione del genere, della diversità di culture, tradizioni, prosperità, uguaglianza sociale. Tenendo conto di variabili come la carriera/retribuzione, il sostegno familiare, gli eventi della vita e l’alfabetizzazione finanziaria.
Anche in questo caso, i dati indicano che a livello mondiale, anche se con significative differenze, il patrimonio medio raccolto dalle donne che arrivano alla pensione si assesta intorno al 74% rispetto a quello degli uomini. In Europa il dato sale al 76% e in Italia al 77%. Ci sono disparità anche sulle retribuzioni nei ruoli occupati, al momento del pensionamento per le donne che occupano posizioni di leadership, la ricchezza accumulata è del solo 62% contro quella degli uomini. Divario che si registra anche nei ruoli professionali e tecnici (69%).
Come nel precedente studio, nel report si analizzano anche le azioni che i datori di lavoro possono intraprendere per contribuire a migliorare l’equità di genere.
Per chi volesse approfondire la lettura di questo importante studio ecco il link, dove poter leggere il rapporto completo: https://www.wtwco.com/en-IN/Insights/2022/11/2022-global-gender-wealth-equity-report
Si tratta dell’ulteriore evidenza del lungo cammino che ancora attende la nostra società e con essa, tutte le organizzazioni che ne fanno parte.
Eppure quelle organizzazioni che stanno affrontando seriamente il problema della disparità di genere, rispetto alle altre, presentano indicatori migliori in termini di redditività, crescita dei ricavi, innovazione e soddisfazione dei dipendenti. Inoltre, sempre in termini di benefici, molti studi hanno confermato che: (a) la diversità di genere tra i leader, comporta un arricchimento in termini di “diversità di pensiero” che, a sua volta, determina innovazione e migliore risoluzione dei problemi; (b) le leader donne sembrano comportarsi in maniera più trasparente e schietta quando paragonate ai leader uomini; (c) le leader donne sono giudicate “mentori” migliori degli uomini; (d) tra i millennial le donne vengono giudicate più preparate degli uomini, per questo si dimostrano adatte nel promuovere crescita in azienda. Inoltre, diverse ricerche hanno dimostrato come a molte leader donne, venga riconosciuta una maggiore: (1) capacità di ascolto, (2) vocazione alla collaborazione, (3) propensione a lavorare in gruppo, (4) attitudine a stimolare la partecipazione, (5) intelligenza emotiva e sociale, (6) empatia, (7) cura delle relazioni, (8) concretezza, (9) praticità nella risoluzione dei problemi, (10) spinta a condividere potere e informazioni, (11) apertura alla comunicazione.
Si tratta di una leadership, quella femminile, in cui ci si misura non sempre per negoziare uno status, come avviene nell’altro modello maschile-patriarcale, ma più spesso per rafforzare legami. Si tratta di uno stile che pone il gruppo e le persone al centro, attraverso l’esercizio di un potere che non mira all’assoggettamento e al controllo ma alla loro crescita e responsabilizzazione. É una leadership che poggia la sua forza non sull’“io” quanto piuttosto sul “noi”, il che spiega il motivo per cui molti studiosi hanno identificato in questa, una valida via per condurre gruppi e organizzazioni su quel terreno che ne decreta il successo.
Perché allora, nonostante queste evidenze e l’indiscusso impegno di molte aziende al riguardo, è ancora così difficile registrare significativi passi in avanti verso il traguardo della parità di genere?
Rintracciando la causa principale nel predominio di stereotipi, le aziende incontrano le stesse difficoltà con le quali si confrontano tutti i pregiudizi: (a) la loro resistenza al cambiamento, anche quando la realtà dei fatti li contraddice; (b) la mancanza di consapevolezza in coloro che li utilizzano;
In una ricerca, del 2019, condotta dalla IBM Institute for Business Value in collaborazione con l’Oxford Economics, curata da Michelle Peluso, Carolyn Heller Baird e Lynn Kesterson-Townes dal titolo “Donne, leadership e il paradosso della priorità”, gli uomini intervistati hanno dimostrato di ignorare del tutto le difficoltà che avrebbero incontrato nella loro carriera se fossero state donne. Il 65% di loro, quando gli è stato chiesto di immaginarsi tali, ha risposto che avrebbero ricoperto ruoli di leadership anche in qualità di donne. Come contraltare il 60% delle donne dirigenti intervistate, nonostante ricoprissero ruoli rilevanti nelle loro aziende, ha dichiarato che la loro carriera sarebbe stata migliore se fossero nate uomini.
Ma per le ricercatrici il dato forse più esplicativo, dell’inconsapevolezza degli uomini riguardo alla gravità raggiunta dal pregiudizio di genere, è quel 68% di dirigenti uomini intervistati che riguardo al proprio compenso ha affermato che sarebbe stato lo stesso, anche se fossero state dirigenti donne. Mentre tutti i dati divulgati, raccolti e presentati anche in questa terza ricerca, descrivono una realtà assolutamente diversa in linea con i due report citati in precedenza.
Questo significa che non c’è solo un problema di potere e di resistenza alla trasformazione dello status quo, poiché anche dove c’è buona fede e la volontà di lavorare per questo cambiamento, c’è un’inconsapevolezza di fondo che fa da ostacolo e contro la quale, di là dalle buone intenzioni dei singoli, le organizzazioni e le istituzioni sociali in generale, hanno l’obbligo di porre in essere quanto necessario in termini normativi, formativi ed educativi.
In Italia dal 14 novembre al 6 dicembre 2022, più di 300 grandi aziende del Paese hanno partecipato alla “4 WEEKS 4 INCLUSION”; una maratona, in streaming, composta da più di 160 eventi gratuiti sui temi dell’inclusione e aperta, volutamente, a tutti. Aziende, associazioni e istituzioni con i loro racconti, testimonianze, progetti e soluzioni hanno voluto testimoniare il proprio impegno nel traguardare questo grande raggiungimento. Ognuna, con la sua adesione, ha raccolto pubblicamente la sfida – verso i propri clienti, utenti, partner, dipendenti – di avviare, al proprio interno e verso l’esterno, le trasformazioni sostanziali necessarie a realizzare questo importante obiettivo. Sia operando a livello di cultura aziendale, così da incidere su atteggiamenti e comportamenti delle persone, sia adottando pratiche e strumenti concreti atti a garantire paritetiche opportunità ed equità di trattamento.
Questo, di seguito, è il documento-testimonianza del lavoro svolto: https://4w4i.it/
La speranza è che altre se ne aggiungano e che le istituzioni pubbliche, di là dalle operazioni di facciata, si adoperino per fornire aiuti e supporto a tutte quelle aziende, a quegli operatori che hanno investito forze e risorse per affrontare questo cambiamento. Le istituzioni hanno l’obbligo di fare in modo che questa trasformazione possa essere agevolata patrocinando politiche, iniziative e interventi normativi volti a garantire la parità di genere in tutti gli ambiti organizzativi o meno.
Solo con uno sforzo congiunto e continuativo sarà possibile infrangere quel “soffitto di cristallo” che ancora oggi, come abbiamo visto, priva la nostra società di una modalità di guardare ai problemi e alle loro soluzioni, legittimando tutti i punti di vista. Sacrificando e dissipando, sulla scia di inutili pregiudizi, energie creative che se ben veicolate potrebbero concorrere a individuare soluzioni innovative ai problemi e alle sfide sempre più ardue che le organizzazioni e la società, già oggi e sempre più in futuro, si troveranno a dover affrontare.
Maschile e femminile dovranno per forza di cosa riconciliarsi, se si vorrà dar vita a una leadership illuminata capace di scelte coraggiose, innovative e flessibili.